In occasione del 25 aprile – anniversario della conclusione della lotta di Liberazione - probabilmente saremo inondati da fiumi di retorica proprio ad opera di coloro che lavorano per lo stravolgimento degli ideali della Resistenza.
In un tempo nel quale sembra più attiva l’opera di espropriazione di democrazia da parte dell’ideologia dell’uomo solo al comando, che non trova una vera opposizione nell’opinione pubblica, credo che vada ribadito con forza che solo attraverso la consapevolezza dei diritti e dei doveri e la presa di responsabilità, un popolo può dirsi ancora tale. Questa coscienza critica insieme a una scelta coraggiosa di vita, l’ebbero ben chiara coloro che si opposero al nazifascismo, dopo anni in cui la società italiana era stata acquiescente e passiva, lasciando la direzione della politica a chi avrebbe portato il Paese alla violazione di ogni diritto e al disastro della guerra.
Giacomo Ulivi |
Ce lo ricorda in una lettera indimenticabile il giovanissimo Giacomo Ulivi – fucilato a 19 anni dalle Brigate Nere per il suo impegno nel Comitato di Liberazione Nazionale – della quale riporto uno dei brani più significativi:
Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo, eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora, che nella vita politica – se vita politica vuol dire soprattutto diretta partecipazione ai casi nostri – ci siamo stati scaraventati dagli eventi. Qui sta la nostra colpa, io credo: come mai, noi italiani, con tanti secoli di esperienza, usciti da un meraviglioso processo di liberazione, in cui non altri che i nostri nonni dettero prova di qualità uniche in Europa, di un attaccamento alla cosa pubblica, il che vuol dire a sé stessi, senza esempio forse, abbiamo abdicato, lasciato ogni diritto, di fronte a qualche vacua, rimbombante parola? Che cosa abbiamo creduto? Creduto grazie al cielo niente ma in ogni modo ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente.
don Lorenzo Milani |
Ritengo opportuno collegare queste parole altissime a quelle altrettanto nobili che un grande educatore don Lorenzo Milani rivolse ai cappellani militari, che avevano educato all’obbedienza supina e complice di crimini:
Ma in questi cento anni di storia italiana c’è stata anche una guerra “giusta” (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa delle altrui patrie, ma difesa della nostra, la guerra partigiana. Da un lato c’erano dei civili, dall’altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altra soldati che avevano obiettato.
Oggi da queste testimonianze di fede nei valori più profondi dell’uomo e della politica, siamo chiamati a un’assunzione di responsabilità per scelte che non possiamo più delegare ad altri, se non vogliamo che vadano distrutte le idee per le quali uomini di ogni età e condizione sociale hanno combattuto e sofferto, fino a dare la vita in piena coerenza con le loro scelte. Siamo chiamati a rifiutare lo stravolgimento che l’attuale governo, espressione di un Parlamento delegittimato, vuol fare della democrazia attraverso modifiche che deformano la nostra Costituzione – nata dalla Resistenza - che introducono un sistema elettorale negazione di una vera rappresentanza popolare.
Questo, è avvenuto anche per gravi responsabilità di tutti coloro che hanno preferito rinchiudersi nel privato, rifiutando un impegno concreto e costante in difesa della democrazia, bene comune irrinunciabile: si è dato così, per decenni, sempre più spazio a volgari protagonismi, a rapaci affarismi, a pericolose avventure militari travestite da operazioni umanitarie, alla distruzione della scuola pubblica.
Se oggi ricordare la Resistenza ha ancora un significato, lo può avere solo se sapremo responsabilmente restituire orizzonti di senso al nostro vivere civile e politico.
Mauro Matteucci
Centro di documentazione e di progetto “don Lorenzo Milani” di Pistoia