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AL CORTILE DEI GENTILI: "LA CHIESA E MESSINA. LE MESSI ONDEGGIANO, CI SONO OPERAI?"


Mercoledì 30 Aprile, alle ore 17,00 la Biblioteca Regionale Universitaria G. Longo di Messina, diretta dall'ex assessore alla Cultura del Comune di Messina, Sergio Todesco, organizza il quarto appuntamento del Cortile dei Gentili sul tema "La Chiesa e Messina. Le messi biondeggiano. Ci sono operai?", presso la Cappella S.Maria dell'Arcivescovado, uno spazio di dialogo messo a disposizione della città per riflettere su nodi cruciali della realtà che ci circonda, non soltanto di tipo religioso ma riguardanti l’etica, la politica, la vita civile in genere. Introdurranno l'On. Prof. Giuseppe Campione e Padre Agrippino Pietrasanta della Compagnia di Gesù. 

“L’azione – che è lecito definire profetica - svolta da Papa Francesco nel suo primo anno di pontificato ha avuto, tra i tanti suoi meriti, anche quello di svelare una contraddizione che ha investito ai nostri giorni la Chiesa Cattolica, consistente nella condanna esplicita, spesso formulata da una parte di essa, di una modernità della quale viene registrata - a volte con toni apocalittici - la radicale distanza dai valori e dai principi del Vangelo. Come il Papa per primo ha mostrato, all’interno stesso del Popolo di Dio che costituisce la Chiesa terrena molti cristiani avvertono forti perplessità ad ingaggiare una tale battaglia, di tipo manicheo, contro la modernità tout court per il solo fatto che essa non incarna né veicola lo spirito evangelico, e propendono piuttosto a tenere aperti spazi di dialogo con i “luoghi” della modernità, da essi percepiti come “campi biondeggianti”, come luoghi di evangelizzazione e di proclamazione della Buona Novella. Come uscire da tale impasse? Dialogo o guerra di religione”?

Il Cortile dei Gentili di aprile – sullo stimolo della straordinaria testimonianza offerta dal Papa - intende interrogarsi sulle radici del messaggio di Gesù per valutare quanto di tale messaggio alberghi nei proclami, nelle scomuniche, nelle prese di posizione rispettivamente assunti dalle forze in campo. Occorre partire da una constatazione, della quale peraltro i cristiani non dovrebbero affatto “scandalizzarsi”, ed è che la storia del nostro pianeta non sarà mai una storia cristiana, in quanto essa è la storia di un’umanità decaduta; anche in un’ottica cristiana essa è, piuttosto, la storia degli uomini nella quale Dio si incarna e in-abita; ma se Dio decide di abitare questa storia, è lecito pensare che Egli la abiti con la sua discrezione, con la sua delicatezza, con il suo amore per la nostra libertà.

La Chiesa è dunque il cammino - sempre faticoso e problematico - di questa libertà, la libertà di chi scopre di essere figlio di un Padre amorevole e però deve quotidianamente verificare e temprare tale sua filiazione insieme a tanti altri fratelli inconsapevoli di tale dono. Se i cristiani pensano di essere gli unici detentori della verità, si condannano a rimanere senza Chiesa e senza storia e non vivono con la liberta della gloria dei figli di Dio. La storia è il campo in cui si è chiamati a seminare e a mietere. E come ci insegna il Vangelo, non è opportuno estirpare anzitempo la gramigna bensì farla crescere insieme al grano buono finché essi siano entrambi sviluppati.

Il rapporto tra modernità e rivelazione è un rapporto assai spesso conflittuale. Il “mondo” pratica un approccio di tipo laico-temporale. La gente in genere - anche molti che vengono considerati cristiani - vive in un contesto di “eclisse del sacro”. Si vive cioè, al di là delle manifestazioni meramente esteriori, “prescindendo da Dio” (etsi Deus non daretur, dicevano i Padri della Chiesa).

Nell’approccio cristiano alla verità, invece, la verità rivelata si incarna e si invera progressivamente nella storia (se si inverasse tutta e subito la storia avrebbe fine). Nonostante la crisi dei valori il mondo coltiva - oltre che numerose ideologie distorte che teorizzano l’autosufficienza dell’uomo - anche un sincero anelito verso l’affermazione e la promozione della dignità della persona umana, che potrebbe essere considerato, ne siano o meno consapevoli gli uomini, un “lascito” di Dio Padre nel DNA spirituale dell’umanità. E’ questo un secondo aspetto della modernità che non si può disconoscere né sminuire né rifiutare; si getterebbe in tal caso insieme all’acqua sporca anche il bambino.

La consapevolezza che l’uomo è nudo (crollo di tutte le ideologie) non dovrebbe sortire né arroganti affermazioni di integralismo né sterili ripiegamenti sulla tradizione bensì, semplicemente, il raccogliere l’invito di San Paolo a “rivestirsi di Cristo”, a porsi cioè alla sequela di un dio che si è fatto contraddizione. La crisi di orizzonti condivisi, manifestatasi nel corso del XX secolo ma giunta a drammatica evidenza con il crollo di certezze che il pianeta globalizzato ormai custodisce quale propria cifra identitaria, ha avuto sulla città di Messina un effetto di particolare gravità. A fronte di una società che si dice avanzata, i valori democratici di partecipazione, uguaglianza, solidarietà sono rimasti il più delle volte marginali e addirittura scomodi nei sistemi di rappresentazione, nel comune sentire e nella prassi concreta dei cittadini.

Eppure, le chiese sono piene di “cristiani della domenica”, i quali però, pagato tale formale tributo alla tradizione o alla perbenistica convenienza sociale, impostano la loro esistenza in modo diametralmente opposto a quanto la loro scelta di fede esigerebbe. Questo “deserto” spirituale non è poi privo di esiti nella concreta esistenza degli individui; essere lontani da una forte esperienza di fede può comportare, oltre che l'inaridimento della coscienza, anche un’insoddisfazione di fondo, un’insicurezza, un’aggressività nei rapporti col prossimo che sono tutte spie indicatrici dell’infelicità derivante dal vivere una vita priva della pienezza che proviene, oltre che un ancoraggio “numinoso”, dal sentirsi solidali con i propri simili.

Come cambiare mentalità, in tale contesto? L’esperienza mostra che assai spesso, per coscienze rese ottuse dall’orgoglio di “essere per sé e non essere per gli altri”, non risultano efficaci i modi tradizionali di gestire la politica; a ciò si aggiunga il fatto che alcuni solerti moralizzatori sovente ritengano di dover assumere toni apocalittici verso tutto quanto fa parte della modernità che ci circonda, come se essa fosse di per sé dannosa e fuorviante! E’ viceversa indubbio che nuove forme di solidarietà sociale possano essere esperite, soprattutto verso i più lontani dal benessere (dal lavoro, dalle sicurezze di una casa e di un futuro), puntando a conferire nuovi significati al mondo di oggi, dialogando con questo mondo e sforzandosi di far emergere, per entro le contraddizioni che segnano la nostra modernità, un disegno di emancipazione e di crescita civile “partecipata”.

In tale prospettiva, è possibile che la nostra città venga finalmente percepita non più come luogo degradato e privo di memoria (quale in effetti è), ma come un luogo che - proprio in virtù di tale sua “sofferenza” - attende di essere liberato. Se la qualità della vita a Messina è ormai giunta ai più bassi livelli nazionali, abbiamo il dovere di credere che lo stesso disagio da noi avvertito sia condiviso da tante migliaia di altri cittadini messinesi; e allora perché non puntare su un progetto di riscatto e di liberazione della città dai mali antichi e nuovi che la stanno soffocando?

Naturalmente, condizione essenziale a che tale processo di mobilitazione delle coscienze non sia fine a se stesso è che nessuno sia più disposto a chiudere i propri occhi di fronte alla realtà! Non si può pensare di lavorare per un futuro più a misura d'uomo senza prendere posizione rispetto a scelte “politiche”, in senso lato (dal tram al ponte sullo stretto, dalla mancanza di lavoro alle nuove dipendenze, dal traffico ai servizi sociali, dalle mafie agli evasori, dai cattivi politici alle occasioni mancate) che incidono tanto profondamente sulla vita civile, sulla convivenza e la serenità delle persone, sulla loro capacità di coltivare ed esprimere utopie (e cioè di essere sempre pronti ad intravedere cieli nuovi e terra nuova).

Un diverso impegno per tutti i cittadini nella vita di questa nostra città non può dunque esaurirsi né confondersi in un impegno politico e partitico che assai spesso nel passato ha abbandonato lungo la strada le radici democratiche che ne avrebbero dovuto ispirare la prassi, ma deve sortire una vigilanza e un rigore che valgano a orientare le azioni nostre e altrui, rendendoci tutti un pò più lucidi, consapevoli, determinati. Mai rassegnati.

Allora forse non sentiremo più dire "Messina, se la conosci la eviti", ma noi stessi ci convinceremo che "Messina, o la subisci o la redimi".

C’è ancora spazio per la Chiesa in tutto questo?


A.D.P.


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