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LA STORIA DEL TEATRO VITTORIO EMANUELE DI MESSINA


Scriveva il La Farina: - “… Il bisogno di un più ampio e più adatto Teatro è da molti sentito e il desiderio è venuto crescendo col tempo”.
    
Nel 1830 circa, epoca a cui risale questa frase, Messina non disponeva se non di Teatri di secondaria importanza. L’unico Teatro degno di questo nome e di una certa importanza era all’interno della Regia Università con lo speciale scopo di addestrare i giovani nell’arte del ben parlare, esercitandoli nell’oratoria del Foro (l’arte di arringare nei tribunali), del Pergamo (l’arte di arringare da un pulpito), della Tribuna (l’arte di arringare nelle pubbliche assemblee da un palco).

Dato l’imput alla costruzione di un Tempio della recitazione, la prima perplessità che si pose agli amministratori dell’epoca fu quella di rintracciare il sito dove edificare il Teatro. La non lieve difficoltà fu rimossa prontamente con “rescritto sovrano”  del 2 Ottobre 1838 con il quale fu individuato il luogo dove avrebbe dovuto sorgere l’edificio.

Si stabilì così che il Teatro dovesse nascere su quell’area che dopo il terremoto del 1873 era stata adibita a "Prigione della Provincia". Quel carcere sorgeva sulla Via Ferdinandea, in contrada Pozzo Leone, detta pure del Carmine perché su quella stessa area prima ancora  del carcere vi sorgevano  il convento e la Chiesa del Carmine.

Il 20 Dicembre 1838 i detenuti furono trasferiti nel Castello di Rocca Guelfonia e ben presto fu iniziata la demolizione del tetro maniero e la costruzione del grande Teatro.

Per edificare il nuovo ed imponente tempio dell’arte il Comune di Messina erogò la somma di Onze 140,000, paragonabili oggi a oltre 10miliardi di vecchie lire. Narrano le cronache che la direzione dei lavori fu affidata al rinomato architetto napoletano Pietro Valenti, che si obbligò di dare al nuovo Teatro una forma simile a quella del San Carlo di Napoli. Un architetto messinese lo coadiuvò nei lavori: Carlo Falconieri.

Così il 23 aprile 1842 l’Intendente della Provincia (carica corrispondente all’attuale Prefetto) inaugurava solennemente la posa della prima pietra, assegnando fin da allora al Teatro il nome di Santa Elisabetta, in omaggio alla Regina Elisabetta di Aragona (nipote di Manfredi di Sicilia) che fu poi santificata. (Salvino Greco, Storie Messinesi -Teatro Vittorio Emanuele).

Il 12 Gennaio 1852, genetliaco di Re Ferdinando II, il Teatro fu aperto al pubblico e vi si rappresentò "Il Pascià di Scutari" opera di Donizetti. (Per la cronaca: il vero nome dell’opera era “Martin Faliero”, ma la censura volle che il titolo fosse cambiato perché il nome di Martin Faliero ricordava il doge veneziano che tentò di sovvertire gli Statuti della Serenissima e quindi  a causa di ciò i cittadini messinesi potevano essere spinti alla rivolta.).
   
Benché il manufatto fosse stato inaugurato e consegnato alla cittadinanza per le pubbliche rappresentazioni, i lavori ornamentali di abbellimento, commissionati ed eseguiti dai migliori artisti messinesi dell’epoca, continuarono. Di tale opere oggi non vi è più traccia, essendo stato il Teatro sventrato durante i lavori di ristrutturazione, ma restano, a testimonianza di ciò,  libri che riportano le descrizioni di tali opere. Grazie a ciò sappiamo tra l’altro che il dipinto della volta centrale (Velarium) venne eseguito nel 1859 dal famoso Giacomo Conti, mentre già nel 1850 il celebre Michele Panebianco, messinese anch’esso, aveva dipinto il Sipario, rappresentante Gelone che ordina ai vinti Cartaginesi di cessare dai sacrifici umani.

Nel 1864 fu allogato l’Orologio, anche questo non più esistente, e il gruppo marmoreo di un altro valente maestro messinese: Rosario Zagari, raffigurante il Tempo che svela l’Arte. Questo ancora oggi si trova posto all’esterno, nella parte  centrale, sulla sommità del tempio. La statua che è a sinistra del Tempo rappresenta Messina in atto di abbracciare l’Arte . In quella statua, simbolo di Messina, lo scultore Zagari riprodusse la figura della propria consorte.

Il Teatro di Santa Elisabetta, che ricordiamolo, fu il primo grande Teatro sorto in Sicilia, nel 1860 cambiò nome e venne chiamato Vittorio Emanuele e la Via Ferdinandea prese il nome di Via Garibaldi.


L’ultima rappresentazione, prima del suo lungo oblio, fino alla riapertura avvenuta nella metà degli anni ’80 seguita ad aspri dibattiti sulle modalità di ristrutturazione, avvenne la sera del 27 Dicembre del 1908. Fu rappresentata l’Aida di Verdi.


L’edificio esterno resta a memoria della vecchia gloriosa Messina, l’interno è stato ristrutturato seguendo i canoni della modernità e perdendo quella meravigliosa acustica che portò a calcare i suoi legni anche il mitico Caruso e ad Eleonora Duse.



Alla luce di quello che sta accadendo in questi giorni, noi messinesi ci auguriamo che il nostro Teatro Vittorio Emanuele possa tornare ai fasti di un tempo!


A.D.P.


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1 Commenti
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  1. Quello che mi fa scoppiare d'ira è l'aver voluto distruggere la parte interna del teatro coni suoi palchi e le sue opere ornamentali ottocenteschi che si erano mantenuti integri fino agli anni precedenti alla tresformazione ,tutte trafugate prima della ristrutturazione,ed avere voluto creare una specie di garage anonimo e senza storia.Questo fatto non lo perdonerò mai agli amministratori ed ai politici del tempo.

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