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CROCETTA E LE RADICI DELLA CRISI SICILIANA


Nel nostro immaginario la disfatta Sicilia, nella crisi complessiva del Paese, e forse non solo del nostro, prende un’innumerevole quantità di nomi che connotano intonazioni diverse. La questione passa trasversalmente toccando ora il campo della politica, dell’economia, dei desideri e dei bisogni, ora il campo dell’etica, ora il campo dell’antropologia mafiosa, del potere quindi, del come lo si produce o lo si subisce, lo si accetta…facendo sì che l’elenco dei nomi sia lunghissimo e sempre incompleto.

Sul versante politico, con una sintesi non dipanabile, si parla di incompiutezza della democrazia, di retorica, di fallimenti del processo economico-finanziario; anche di cittadinanza comunque in sofferenza, oppure, quasi per alibi, di depoliticizzazione dei cittadini; invece si stenta a centrare il perché della decostruzione della politica, dell’incapacità degli assetti politici.

In una riflessione del dopo guerra, l’Aglianò, poi condiviso, quasi riscritto per Sellerio da Sciascia, riprende un tema che sarà a lungo dibattuto, quello che, allora, precipua preoccupazione fosse quella “di mantenere inalterati gli interessi che avrebbero dovuto perpetuare la vecchia struttura feudale”: da quella cultura si perpetueranno infatti blocchi clerico-agrari e mafiosi che sostanzieranno separatismo, utilizzazione del banditismo, politiche, sindacalismo parassitario, autonomia regionale <esagerata>. Anche apparati religiosi che, nella radicata appartenenza a blocchi storici hanno, per lo più disatteso il Concilio. Certo si manifesteranno dolorosissimi momenti di rottura, generosi intendimenti di rendere gentile il ruolo della nostra terra, ma, ogni volta saranno riassorbiti dalla lunga durata del termidoro di società e consuetudini di governo, nel permanente e consueto rito delle responsabilità rimosse. 

Il mantra della diversità, rafforzato dalle peculiarità statutarie, ha però perpetuato velleitaria competizione, estenuanti enfatizzati, soprattutto vittimistici, bracci di ferro. E siamo ancora qui, con un governo che, nel bowling dell’amministrazione e dei connessi affari ha abbattuto quantità impensabili di birilli…ma che trova grandi difficoltà sui modi di andare avanti, di costruire, di sperimentare, non solo con la ritualità di litanie sapute, inizi necessari,conducenti di graduale intelligente, possibile cambiamento. Ne è esempio, tra i molti arretramenti che non ha potuto evitare, la banale gravità dei modi, emblematici, della tabella H e l’incomprensibile pasticcio del Piano giovani. In fondo tra tanto facile bestemmiare antipolitica, l’unica antipolitica (anti-consueta vecchia politica) fin qui immaginata, nella storia dell’autonomia, è stata quella dell’elezione diretta dei sindaci, poi dei presidenti: Il potere non più nelle mani di innominabili congregazioni.*  

E’ successo però che in Sicilia, alla regione, ma anche altrove, il consenso che avrebbe dovuto maturarsi al di là di non sempre chiare, positive contrattazioni si sia espresso aggirando la sostanziale qualità che ci si aspettava. Sarebbe lungo spiegarne i perché : il fatto che poi questo si sia verificato un po’ dappertutto nel paese non credo sia consolante. Sono mancati i partiti, quelli che pure dalla Costituzione avevano ricevuto un viatico, un ruolo pregnante, di strumenti di avanzamento della democrazia, quindi della politica, dell’Italia.

Così in Sicilia Cuffaro e Lombardo erano espressioni piena di aree che sostanzialmente rifiutavano i modi corretti, diciamo ontologici, della Politica. Orsini, in un pregevole saggio, ha descritto il berlusconismo come biografia di un paese…in misura quasi simile Gobetti , negli ’20, aveva parlato del fascismo. In sostanza sono state quelle aree il buio di una società, il suo pozzo nero: anti società, anti stato, anti regole, anti lettera e spirito della Costituzione.

Su temi consimili, di inveterato doroteismo, ci ritroviamo anche adesso - con un partito democratico [l’unico praticamente ancora in piedi, quindi come nel Candido di Voltaire, il migliore] certamente più consapevole e intelligente, più libero da vecchie mistificanti appartenenze, ma spezzettato, affettato,  frazionato da ricorrenti incomprensibili modalità, quelle che usavano, a mò di ricatto, non commendevoli pregnanze territoriali o mai dismesso capitumminismo parlamentare [da Capitummino, vetero organizzatore del caritativismo cattolico, poi capo peones, con nello zaino il bastone di maresciallo] -  a ri-imboccare strettoie di futura buona, compiuta, non episodica gestione. Ed è questo che ri-diviene tema centrale, da affrontare con maturità, attenzione, urgenza. Crocetta, anche se lo volesse non è un demiurgo.. e se lo volesse diventare sarebbe come cadere, al di là delle sue qualità e positive esperienze, dalla padella nella brace. 

La politica ha bisogno di ritrovare, valorizzare le convergenze che pur vi sono, a partire dal Presidente, per un sua nuova qualità, che trovi in sè e nel dialogo, nei pensieri, i motivi per gradualmente, senza smarrimenti di linea o pretestuosi intoppi, portarci fuori dal baratro e dalle paludi che lo circondano. Pensare, ci ammoniva la Arendt, non sarà mai eversivo. Indispensabile invece.

*[E non è un caso che in questa stessa logica proprio da Palermo siano partite in quell’anno, dopo le stragi del ’92, l’avvio delle procedure di smantellamento della Democrazia Cristiana e, in qualche modo, profetizzate le logiche costituenti del futuro partito democratico. ]




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