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STORIA DI UN MONUMENTO IN PIAZZA UNITA’ D’ITALIA MAI INAUGURATO


Buon Primo Maggio. Buona Festa del Lavoro che non c’è per tutti ma soprattutto c’è per privilegiati e miracolati della politica. Nino Principato


Il 7 marzo 1987 il Consiglio comunale di Messina deliberò la realizzazione del monumento commemorativo con epigrafe a ricordo del sacrificio di Giuseppe Lo Vecchio, Giuseppe Maiorana e Biagio Pellegrino, tre lavoratori uccisi nei pressi di Piazza Unità d’Italia davanti alla Prefettura nel corso dello sciopero generale proclamato dal sindacato unitario il 7 marzo del 1947. La progettazione dell’opera venne affidata all’architetto Pantano, ultimata e collocata il 1° maggio del 1989 in un’aiola della Piazza. Avrebbe dovuta inaugurarla l’allora segretario della Cgil Luciano Lama ma per motivi non ancora chiariti, non se ne fece nulla. 


Scrisse in proposito Saro Visicaro nel 1992 per spiegare questa mancata inaugurazione: “Appuntamento mancato. Ufficialmente per indisponibilità dell’ex segretario generale della Cgil. In seguito si cominciò a capire il vero motivo dei ritardi e dei rinvii. Ambienti prefettizi avevano qualche difficoltà ad accettare il testo dell’epigrafe che praticamente addita “alle forze della reazione” la responsabilità della morte dei tre operai assassinati…pur di non turbare i formalismi, si cancellano e si alterano fatti accertati. Avviene allora che la strage di Portella della Ginestra è commemorabile perché ufficialmente provocata dalla banda Giuliano, le altre stragi o assassinii di Stato devono invece essere ignorate.”. 


Il secondo conflitto mondiale si era concluso da poco, con il voto popolare del 2 giugno 1946 l’Italia era una Repubblica e a Messina si pativa la fame, si distribuiva ancora il pane con la tessera annonaria, il costo della vita raggiungeva oltre il 37% cui si aggiungevano le nuove imposte di consumo sui generi di prima necessità. 


Scrive Andrea Bambaci: “I lavoratori edili chiedono tramite la Camera del Lavoro l’equiparazione con i lavoratori nazionali, e cioè: l’istituzione di enti di consumo con spacci alimentari, ristoranti e mense popolari, mense per i disoccupati, mense rionali per i lavoratori edili, una migliore regolamentazione della distribuzione dei generi tesserati, 40 ore di lavoro settimanali e il blocco dei licenziamenti, infine l’aumento del 15 per cento sulla paga base, come stabilito dal contratto collettivo nazionale, nonché l’aumento della percentuale dell’indennizzo per il lavoro perduto per le condizioni atmosferiche avverse.”. 


Dopo una serie di inutili contrattazioni con Prefettura e Comune, si giunge allo sciopero generale del 7 marzo. Raggiunto il luogo di concentramento, il cinema Casalini, un corteo di 10 mila lavoratori si dirige verso Piazza Unità d’Italia che raggiunge alle 11. I dimostranti si sentono presi in giro per la mancata presenza dei rappresentanti degli industriali che erano stati convocati e per il mancato ricevimento di una loro commissione per discutere col Prefetto e quando da una finestra della Prefettura, in via Gran Priorato, si affacciano il vice prefetto Castrogiovanni e un rappresentante dei lavoratori, inizia una sassaiola verso di loro. 



Gli animi sono esasperati, i vetri della Prefettura rotti, alcuni dimostranti dall’alto di un palazzo adiacente lanciano pietre e mattoni verso gli agenti e invano si tenta di riportare la calma mentre il Commissario di Pubblica Sicurezza De Rubertis dà a questo punto ordine di sparare in aria a solo scopo intimidatorio. Interviene, però, un reparto di carabinieri e al grido del loro capitano, “Avanti Savoia!”, col mitra piazzato a terra sparano alcune raffiche contro la folla inerme: sul terreno giacciono due morti, il calzolaio Giuseppe Maiorana di 41 anni e il manovale Biagio Pellegrino di 34 anni, entrambi militanti nel PCI. Il ferito grave, l’operaio Giuseppe Lo Vecchio di appena 19 anni, morirà qualche giorno dopo all’ospedale Margherita. 


Una donna mostra ai presenti un panino che il marito Biagio Pellegrino portava in tasca quando la raffica del mitra lo uccise. Il 24 maggio 1954 ha inizio il processo contro due carabinieri e tre agenti della pubblica sicurezza rinviati a giudizio “per aver ecceduto nell’uso delle armi”, tutti assolti, anche in appello.


Ai funerali dei tre operai messinesi, cui partecipò commossa l’intera città, sopra la bara di Biagio Pellegrino c’era un panino!


Nino Principato



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