Di Marina Ripa di Meana si è parlato molto in questi giorni dopo la sua morte. Voluta e decisa da lei, una donna anticonformista fino all'ultimo che di proprio arbitrio ha posto fine alla sua vita per "tornare alla terra" e lasciare il suo corpo martoriato dal tumore per essere davvero libera.
Marina, una donna che ha pagato sulla sua pelle le scelte che ha fatto e per questo è stata forse una madre ingombrante per l'unica figlia Lucrezia Lante Della Rovere con la quale ha sempre avuto un rapporto conflittuale. Oggi la figlia dice di lei che è stata una guerriera. Vero, ma lo è sempre stata. E se davvero il male dell'anima porta squilibri al corpo forse questo infelice rapporto madre-figlia l'ha dilaniata dentro.
In una intervista di Paola Jacobbi su Vanity Fair, Marina parla di Lucrezia così: "Mi sono inventata la mia vita e le facevo più da padre che da madre. Le ho assicurato le scuole migliori, la vita migliore e così mi sono autoesentata dall’essere la mamma affettuosa e coccolona, cosa che non sarebbe comunque stato nel mio carattere". "Non posso sopportare i calci in faccia, nemmeno da mia figlia. Non ho quella mentalità borghese, quella mitologia della maternità in nome della quale i figli vengono prima di tutto, anche di se stessi". "Solo se si è capaci di amare se stessi, si amano gli altri". "Durante la mia malattia, mi è stata molto vicina. Credo fosse spaventata, ma era presente, attenta. Poi, appena ho cominciato a stare meglio, ho rialzato la testa, sono ripartiti tutti i miei progetti, zac, arriva la randellata di quella intervista. È come se Lucrezia preferisse avere una madre stesa a terra, sconfitta". "Ci è cresciuta, in mezzo alla mia vita. Lo sa come sono fatta, è che non si rassegna. Mi vorrebbe diversa, e questo è impossibile". "Lucrezia non ha mai voluto davvero risolvere il suo conflitto con me. Ha sempre una specie di ghignetto dispregiativo nei miei confronti".
Oggi Lucrezia piange come è giusto che sia. Come è giusto che un figlia pianga una madre. Ma tra di loro c'era qualcosa di più. Il non detto. Celato per orgoglio da parte di entrambe. Due donne forti e vitali che avevano solo bisogno di amore e non sapevano come dirselo. Perchè una donna forte apparentemente non ha bisogno di nessuno e nasconde i suoi dissidi interiori al mondo. Ma adesso che Marina è ovunque e la sua anima è finalmente libera, auguro a Lucrezia di ritrovare quella serenità che la madre anelava anche per lei. Perchè il suo alla fine è stato l'ultimo gesto d'amore. Quello di andare via per non arrecare ulteriore sofferenza alla sua famiglia. Ma resteranno comunque legate da un filo invisibile e chissà, magari in un'altra vita s'invertiranno i loro ruoli e torneranno a litigare, a punzecchiarsi, a farsi anche del male a volte, perchè l'amore è così. E alla fine Lucrezia perdonando tutti gli errori umani della madre riuscirà a perdonare anche se stessa.
Marina Ripa di Meana |
Marina era una donna che andava accettata così com'era, nel bene e nel male. Ma era una donna vera, autentica che non temeva il giudizio altrui e anzi lo provocava con i suoi gesti. Nel suo primo libro "I miei primi 40 anni" Marina non si risparmia e con dovizia di particolari racconta di una vita agli eccessi ma sempre alla ricerca dell'amore. Un amore che ha trasferito nei suoi amati carlini e in tutti gli animali portando avanti delle battaglie ed esponendo anche il suo corpo. Esibizionismo? Forse. Del resto lei non ha mai negato di piacersi. Ma dietro il suo mostrarsi c'era un grande cuore.
Voglio ricordare Marina con alcune sue frasi:
Tu vedi la mia parte esteriore ma non conosci la mia parte segreta, quella che non ho intenzione di svelare: costituisce più o meno il settanta per cento del mio carattere, e questo nonostante io appaia molto estroversa.
Quello che mi interessa è il pudore dei sentimenti, non mi piacciono le emozioni sbrodolate.
Detesto la noia e mi ribello di fronte al conformismo di tante persone. Sono contraria ai luoghi comuni e alle cose scontate.
Per quarant'anni mi sono sentita un po' Cenerentola e un po' Robin Hood: in questa fantasia ho passato la vita.
Ho molto amici a cui sono molto affezionata, ma quelli più cari sono i miei quattro cani. Sono travolgenti nell'affetto e la loro compagnia mi rallegra ogni attimo della vita.
La mia massima aspirazione è forse quella di essere rassicurata sulla data perenne dell’affetto di chi amo.
Camminare mi schiarisce le idee, mi fa tornare in pace con me stessa e col mondo. Se devo prendere una decisione, smaltire un malumore, una preoccupazione o anche qualcosa di più, esco con i miei canetti e cammino, cammino veloce e decisa per le strade della mia amata e odiata Roma, anche se non ho una meta precisa, come se fossi alla ricerca di un'introvabile patria perduta da raggiungere in fretta, prima che svanisca.
Conviene essere veri, anche se è scomodo.
Antonella Di Pietro