Nella prefazione del libro "Ti amo anima mia. Una storia di violenza" (Edizioni Psiconline) si legge: “Ciao a tutti, mi chiamo Najaa e quella che segue è la mia storia. Sono una ragazza che ha subito violenza, prima psicologica e poi fisica, a seguito di un tormentato amore. Ma sono anche cuore, anima, polmoni.”
Un racconto intimamente interiore che diventa una sorta di psicoterapia dove l'autrice si analizza e prende coscienza di se' attraverso i ricordi che trasferisce su un foglio bianco stabilendo "Il patto autobiografico" ben descritto dal saggista francese Philippe Lejeune nel suo libro omonimo. "La memoria è un album di ricordi alla rinfusa, dove non tutte le foto escono bene. Alcune portano la nebbia addosso, altre hanno addirittura perso i colori e sono bigie ombre macchiate di passato" scrive Najaa.
Spesso, questo bisogno di fissare i ricordi su carta nasconde anche il desiderio insopprimibile di ristabilire la verità, ovvero mettere nero su bianco, senza tralasciare alcun particolare di tutto quello che ci ha devastato, destabilizzato e colpevolizzato per rinascere con nuova linfa vitale e trovare la forza di ricominciare. Ma non sempre è facile e non tutte possono farlo, c'è chi ancora tace per paura e c'è chi non può più gridare aiuto perchè quella mano che l'accarezzava dolcemente prima è divenuta poi strumento di morte o di danno permanente come nel caso di Lucia Annibali che ha sentito anche lei l'esigenza della verità con il suo romanzo "Io ci sono. La mia storia di non amore".
E allora, parlare di quanto è accaduto diventa quasi indispensabile per chi ha vissuto l'inferno e intende risalire il fondo dell'abisso nel quale si è perso il proprio "Io". C'è chi va in analisi e c'è chi intraprende un viaggio interiore scrivendo la propria vita e, quindi, un romanzo autobiografico che altro non è che "il racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale fa della propria esistenza, quando mette l'accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della propria personalità" come lo definisce Lejeune.
Una storia come tante, che inizia con mille attenzioni e carinerie e si conclude senza l'happy end delle favole "Mi sono innamorata semplicemente di un ragazzo, adescata da una banale rosa rossa. Nel giro di pochi mesi l'ho portato a casa con me e poi l'ho sposato". Un rapporto che dallo "stato di grazia", come lo definisce il sociologo Francesco Alberoni nel suo libro "Innamoramento e amore", passa alla pietrificazione accompagnata dal senso di colpa, "Lo amavo troppo, questa è stata la mia colpa. E non è vero che amare troppo non si può" dice Najaa. In realtà, non si ama troppo o poco, si ama e basta, l'errore sta nel nell'annullarsi nell'altro perdendo la propria essenza, la propria luce interiore.
E Najaa giunge a questa consapevolezza quando scrive: "Adesso mi specchio e in un riflesso opaco, ritrovo finalmente la mia essenza. Gli occhi, decisamente non più spenti, elemosinano continuamente vita e le labbra, che non baciano, si tendono per regalare sorrisi a chi come me ha sofferto un po’ di te in un altro corpo. A chi ha ancora addosso i segni di un amore bastardo come il tuo e non sa come lavarli, perché lavarli proprio non si può".
E Najaa giunge a questa consapevolezza quando scrive: "Adesso mi specchio e in un riflesso opaco, ritrovo finalmente la mia essenza. Gli occhi, decisamente non più spenti, elemosinano continuamente vita e le labbra, che non baciano, si tendono per regalare sorrisi a chi come me ha sofferto un po’ di te in un altro corpo. A chi ha ancora addosso i segni di un amore bastardo come il tuo e non sa come lavarli, perché lavarli proprio non si può".
Dopo le violenze subite Najaa trova il coraggio di denunciare Sajmir, dal quale divorzia, che tornerà nella sua terra natia, probabilmente dall'altra sua famiglia. Malgrado non si sentano più da tempo, l'autrice, una donna marchigiana sulla trentina, ha preferito scrivere il suo libro con uno pseudonimo per motivi di sicurezza che, tuttavia, le impediscono di presentare in pubblico la sua opera prima scritta nella speranza che la sua storia possa essere d'esempio ad altre donne che si trovano a vivere un amore tormentato come il suo.
Alla nostra domanda sul perché avesse scelto questo nome la sua risposta è stata: "Najaa è un nome arabo e l'ho scelto perché di buon auspicio. Dovrebbe significare trionfo, quindi un po' il simbolo della rinascita. E comunque lo sento mio, mi piace, tutto qui".
Alla nostra domanda sul perché avesse scelto questo nome la sua risposta è stata: "Najaa è un nome arabo e l'ho scelto perché di buon auspicio. Dovrebbe significare trionfo, quindi un po' il simbolo della rinascita. E comunque lo sento mio, mi piace, tutto qui".
©Antonella Di Pietro
"Guarderò spesso il Sole proprio come facevo da piccola. Capirò che il senso della vita è semplicemente viverla. Capirò che è meglio aspettare invece di correre, perché spesso si trova molto di più nell’attesa che nella continua ricerca. Scriverò la parola FINE e mi sentirò assolta.” Najaa.