Dal carcere di Opera Totò Riina, secondo le parole di un agente penitenziario, si sarebbe lasciato andare a uno sfogo con un detenuto e avrebbe detto: "Di Matteo deve morire. Gli faccio fare la fine del tonno, come a Falcone. E con lui tutti i pm della trattativa. Mi stanno facendo impazzire, devono morire, fosse l'ultima cosa che faccio", avrebbe aggiunto il boss riferendosi anche al procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi e ai pm Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.
Il procuratore di Palermo Francesco Messineo ha commentato così la notizia: "Sulla verità, la fondatezza e la corrispondenza al vero delle minacce propalate da Totò Riina nei confronti del Pm Di Matteo, e pubblicate su un quotidiano, preferisco non fornire alcun elemento. Partendo da questo presupposto, siamo profondamente allarmati da questa pubblicazione perchè, ammesso che siano vere, queste minacce sembrano una chiamata alle armi che Riina fa al popolo di Cosa nostra contro i magistrati che rappresentano l'accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia e che sono visti come ostili''.
"Io ci sono. E continuo a fare il mio lavoro. Non ho mai pensato di lasciare Palermo, di lasciare l'ufficio perchè siamo abituati, come magistrati che seguono da anni indagini antimafia, alle eventuali minacce e ai momenti di difficoltà. Continuerò a lavorare e a cercare di dare il mio contributo per la ricerca della verità". Così il sostituto procuratore di Palermo, Nino Di Matteo, risponde in un'intervista alle minacce di chi lo vuole morto. Sotto scorta Di Matteo ci vive da vent'anni, e non ha alcuna intenzione di abbandonare la sua città né tanto meno il processo Stato-mafia, dove sostiene l'accusa.
"In questa, come in altre occasioni, ho avvertito intorno a me e ai miei colleghi tanta solidarietà da parte di tanti cittadini, gente semplice, comune ma, soprattutto, tanti giovani e questo mi fa piacere perchè muove dalla constatazione che siano tanti a seguire il lavoro della magistratura con una vera sete di verità e di giustizia. E' una solidarietà che conforta e che, alcune volte, stride con la constatazione che non sempre viene, in maniera così evidente e sincera, espressa dalle Istituzioni politiche. Io ho fiducia nelle Istituzioni che sono deputate alla mia protezione, soprattutto ho una grande fiducia e una profonda gratitudine nei confronti dei Carabinieri che da anni mi scortano con assoluta dedizione e professionalità. Io spero che, altrettanta attenzione, venga prestata anche alla situazione dei miei colleghi che si occupano del processo insieme a me. E credo che non si debbano più ripetere gli errori che sono stati fatti anche nel 1992 e anche prima quando molti magistrati sono stati uccisi anche grazie al disinteresse delle Istituzioni che dovevano proteggerli". Parole molto dure, quelle pronunciate dal pm di Matteo che prosegue: "Molto spesso, i magistrati sono stati, non solo abbandonati a loro stessi ma anche isolati e delegittimati prima di essere uccisi".
A Punto di Vista il magistrato ha anche detto: "Mi sento di fare due riflessioni: innanzitutto la storia di Cosa Nostra è fatta di corsi e ricorsi, il momento in cui l'organizzazione ha scelto il basso profilo abbandonando la strategia stragista e di un momento in cui, improvvisamente, la ripristina. Quindi non si può mai escludere un ritorno alla strategia di attacco frontale allo Stato con omicidi eccellenti. Certo che sono minacce e, comunque, provengono da un soggetto che, con sentenza passata in giudicato, è stato ritenuto il principale responsabile delle stragi di Capaci, di Via D'Amelio, delle stragi del Continente 93, dell'omicidio del giudice Saetta, del giudice Chinnici e di tanti altri. Quindi, io credo che - continua Di Matteo - bisognerebbe tutti, e non solo io e miei colleghi magistrati, riflettere sul perchè di queste esternazioni e cercare di capire cosa c'è dietro. Questo è lo sforzo che deve fare l'Antimafia in questo momento".
"Rompiamo il silenzio sulle minacce a Nino Di Matteo, ai suoi colleghi del processo “trattativa” e a Fabio Repici" - si legge nell'evento - "In passato le storie di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci hanno insegnato che chi sceglie di affrontare le collusioni tra criminalità organizzata e potere si ritrova isolato e delegittimato anche da pezzi delle stesse Istituzioni. Oggi la storia si ripete. Il capo di Cosa Nostra Salvatore Riina, detenuto a regime carcerario 41-bis, pochi giorni fa ha minacciato il PM Nino Di Matteo e tutti i magistrati che si occupano dell’inchiesta sulla trattativa avvenuta tra pezzi dello Stato e di Cosa Nostra nel biennio ’92-’93. "Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire – ha urlato Totò Riina ad un altro detenuto –. Quelli lì devono morire, fosse l'ultima cosa che faccio".
"Il 17 ottobre Rosario Pio Cattafi, imputato a Messina per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso - prosegue la nota - con l’aggravante di aver promosso e diretto l’organizzazione mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto, ha pesantemente minacciato l'avvocato Fabio Repici. "Avrei dovuto prendere a schiaffi l'avvocato Fabio Repici, mi pento di non averlo fatto – ha affermato Cattafi –. Auguro con tutto il cuore all'avvocato Repici di subire tutto quello che ha fatto subire ad altri". Cattafi è attualmente detenuto a regime carcerario 41-bis ed è pregiudicato per i reati di lesioni, porto e detenzione abusivi di arma, cessione di sostanze stupefacenti e calunnia.
Salvatore, il fratello del giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia osserva come "Le minacce da parte della mano armata dello Stato deviato, la mafia, si siano alzate di livello. Attraverso Totò Riina, arrivano messaggi di morte a tutti i componenti del pool di Palermo oltre che al Procuratore Roberto Scarpinato. Le Istituzioni, lo stesso Capo dello Stato, il cui ultimo atto nei confronti dello stesso pool è stata la implicita destabilizzazione ottenuta attraverso il conflitto di competenza sollevato di fronte a alla Consulta per quelle intercettazioni cui era incappato dando ascolto ad un indagato nel processo sulla trattativa mafia- Stato, tacciono. Restano in attesa di avere un altro eroe su cui spargere false lacrime, a cui portare altre corone di Stato, restano in attesa di disputarsi le prime file nella cattedrale in cui verranno celebrati i prossimi funerali di Stato".
"Restano in attesa di altre vedove da marcare a vista per essere certi che non sapessero nulla di quanto sapeva il marito come venne fatto, negli anni immediatamente seguenti la strage di via D'Amelio, con Agnese Borsellino. - continua Salvatore Borsellino - E intanto le pressanti richieste fatte da chi, per servizio, quotidianamente, rischia la vita insieme a questi servitori dello Stato, dallo stesso Stato condannati a morte, le richieste di utilizzo di un dispositivo, il "bomb jammer" che avrebbe impedito di compiere, nella maniera in cui sono state compiute, le stragi di Capaci e di via D'Amelio, vengono disattese o ignorate, ne viene negata l'efficacia o ne viene sottolineata la pericolosità. Ed allora perché gli stessi motivi non ne impediscono o non ne hanno impedito l'utilizzazione per il capo dello Stato, per Berlusconi, per Schifani, per De Gennaro, per Alfano? Dove sta la differenza? Perché per certe persone, che di protezione, almeno da parte della mafia, non avrebbero bisogno, certe misure vengono attuate e per altri, che corrono reali e immediati pericoli di morte, vengono negati? La risposta è semplice. Per salvare Mannino ed altri potenti che la mafia aveva condannato a morte ritenendo che non avessero rispettati i patti, fu iniziata una scellerata trattativa che richiese, per essere portata a termine, l'assassinio di Paolo Borsellino".
"Per i servitori dello Stato che hanno avuto l'ardire di portare alla sbarra alcuni dei responsabili di quella trattativa, si aspetta, per fermarli, che la mafia esegua la condanna a morte che ne è stata decretata. - prosegue il fratello del compianto magistrato - "Ma lo Stato non è fatto solo da questi sepolcri imbiancati, lo Stato siamo anche noi e noi non permetteremo che questo disegno criminale venga portato a termine ancora una volta. Noi ci stringeremo intorno a Nino di Matteo ed agli altri magistrati e lo faremo con ogni mezzo possibile. Prepariamoci a fare sentire, in ogni maniera, subito e con ogni mezzo la nostra volontà di RESISTERE, la nostra voce, il nostro sdegno. Tutti devono sapere, tutti dovranno scegliere da che parte stare. Noi abbiamo già scelto, noi siamo con la parte sana dello Stato, noi stiamo con questi magistrati che hanno scelto, a rischio della propria vita, di seguire l'esempio di Paolo Borsellino". - e conclude - "Per uccidere loro dovranno uccidere anche noi".
Fatta eccezione per un comunicato stampa dell’Associazione Nazionale Magistrati e per un appello lanciato da Salvatore Borsellino in difesa, rispettivamente, di Nino Di Matteo e Fabio Repici, nessun vertice Istituzionale ha fatto sentire la propria voce ed ha agito in difesa dei destinatari di così gravi minacce. Nel caso del pm siciliano solo il Comitato per l’ordine e la sicurezza di Palermo si è riunito con urgenza lunedì 12 novembre, mentre per l’avvocato Repici nessuna analoga iniziativa è stata intrapresa a Messina.
Il Movimento Agende Rosse di Salvatore Borsellino vuole rompere questo assordante silenzio istituzionale chiamando a raccolta tutti i cittadini e le associazioni che hanno capito la gravità della situazione e che vogliono dimostrare pubblicamente la loro vicinanza ai destinatari di tali pesanti minacce.
Tra lunedì 18 e giovedì 21 novembre alle ore 18.00 saranno presenti in tante città italiane (tra cui Palermo, Torino, Roma e Napoli) per chiedere alle Istituzioni locali di scegliere da che parte stare e di farlo pubblicamente, affiggendo uno striscione sulla propria sede e firmando un documento di solidarietà verso Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi, Roberto Scarpinato e Fabio Repici, chiedendo alle istituzioni nazionali che si adoperino per concretizzare nei fatti questo sostegno. L’elenco delle città aderenti – con relativi luoghi e date – sarà in continuo aggiornamento sul sito www.19luglio1992.com
All'appello ha aderito il sindaco di Messina, Renato Accorinti, che, esponendo all'esterno di Palazzo Zanca uno striscione ha scelto da che parte stare: "Questa amministrazione trova di inaudita gravità la fuga di notizie sullo "sfogo" del boss Totò Riina. E' indispensabile che lo Stato tuteli con tutti i mezzi possibili i magistrati gravemente minacciati da chi ancora è indiscutibilmente a capo della mafia, e impegnati nella ricerca di una verità scomoda su uno dei fatti più oscuri della storia di questo Paese: la trattativa tra Stato e mafia". - dichiara Accorinti - "La nostra massima solidarietà e vicinanza va questi servitori dello Stato, al procuratore Nino Di Matteo ed ai suoi colleghi che non andranno mai lasciati soli. La migliore scorta a difesa della vita dei magistrati rimane la mobilitazione popolare".
Anche il Presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, esprime solidarietà e ringrazia Di Matteo e tutti i magistrati siciliani che ogni giorno, nell'eroismo del quotidiano, combattono per la nostra libertà. "Liberarsi dalla mafia - ha detto il presidente - è l'obiettivo prioritario che tutti noi dobbiamo mettere nella nostra agenda di lavoro per favorire lo sviluppo economico, sociale e civile della Sicilia. La mafia nega la libertà politica, economica, uccide la dignità delle persone. La nostra rivoluzione non può che avere al primo posto proprio la lotta contro la mafia e il malaffare, ovunque esse si annidino. Le vicende di questi mesi e di questi anni, fanno emergere come gli attacchi della mafia siano il tentativo di impedire proprio quel processo di rinnovamento profondo della nostra Isola, che sta avvenendo grazie proprio al lavoro dei magistrati, delle forze dell'ordine, della società e di parte delle Istituzioni siciliane. Siamo con Di Matteo e con tutti coloro che si battono contro quel sistema mafioso che, - conclude Crocetta - come riteneva Falcone, sarà certamente sconfitto nella nostra Isola".
La manifestazione a Palermo è organizzata in collaborazione con: Muovi Palermo, Azione Civile, Antimafiaduemila, Cittadinanza per la Magistratura, Comitato 23 Maggio, ContrariaMente - Rete Universitaria Mediterranea, AddioPizzo, Associazione Nazionale Amici di Attilio Manca, Arci Palermo, TeleJato, Coordinamento Palermo Ciclabile- Fiab, Ruota Libera, Libera Palermo, Resistenza Antimafia, Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia, Centro Studi Paolo Giaccone, Ossermafia, Legalità e Libertà, Associazione Antimafia Rita Atria, Professionisti Liberi, Associazione Peppino Impastato, Democrazia e Movimento, Casa Memoria, Delegazione ragazzi di Cinisi, Libero Futuro, AATI Associazione Antimafia Termini Imerese, LiberJato - Associazione Antiracket Partinico, Associazione Culturale immaginARTE, LiberiSEMPRE, Giovane Rivoluzione Palermo, ANPI, Democrazia in movimento, Treno Delle Donne in Difesa Della Costituzione e il Centro Studi Peppino Impastato. Qui l'evento su Facebook.
A.D.P.