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MESSINA POST-TERREMOTO: ANALISI DI GIUSEPPE CAMPIONE SULLA RICOSTRUZIONE DELLA CITTA'

Questa del prof. Giuseppe Campione, ex Presidente della Regione Siciliana, è la storia della città in età moderna e contemporanea con particolare riferimento al terremoto del 1908 ed alla ricostruzione. Nella logica interna dell'impianto di Messina gli avvenimenti, le epidemie, i disastri sono come ferite profonde nel tessuto sociale e delle strutture urbane, che si rimarginano con modalità e tempi diversi: scansioni temporali entro cui si combinano i vari elementi della struttura, alla ricerca di un disegno, delineato negli approcci, rimesso in discussione dagli uomini e dagli eventi.



Torniamo agli scritti sul terremoto di 107 anni fa… per non scrivere del terremoto civile che stiamo vivendo. Buon 2016 Messina...! Giuseppe Campione

Atti del Consiglio Provinciale di Messina dopo l'Unità d'Italia. Si rivive una storia della città, della provincia, con i problemi di sempre: viabilità, ferrovie, traffici marittimi, attività economiche, istruzione, problemi assistenziali, ecc. Ci sarà poi la "rottura" del terremoto, ma sfogliando quelle pagine si ha la sensazione di percorrere un itinerario che, con vicende alterne, arriva sino ai nostri giorni. Negli anni ‘60 del secolo scorso il problema era di far funzionare una democrazia nascente, di attrezzare, per una migliore condizione civile, il territorio con adeguate infrastrutture, ma soprattutto di riaffermare un ruolo per Messina e per il suo retroterra e quelle assemblee avevano un significato quasi costituente. Gli elementi mobili, e, in particolare, la gente e le sue attività sono, in una città, altrettanto importanti che gli elementi fisici fissi ed esiste una interazione costante tra la forma dello spazio costruito e il sistema dei rapporti sociali e dei valori che li connotano.

Forse siamo stati troppo convinti che il terremoto abbia azzerato queste memorie, determinando una condizione di cittadini senza storia. Certamente il terremoto segnò un taglio deciso, spietato nella struttura urbana e nella vita economica, ma soprattutto nella composizione demografica e sociale. Sfogliando però quei documenti sembra che sia possibile rifarsi a memorie antiche sottese al modo attuale di percepire la città e, sembra, che il bisogno di riconoscere e strutturare ciò che sta intorno, abbia radici profonde nel passato, nella necessità, come dice Lynch, di risalire «alla immagine pubblica, al quadro mentale comune che ci si può attendere insorga nell’interazione tra una singola realtà fisica ed una cultura comune».

Non si tratta certo di proporre un'amplificazione percettiva del paesaggio, ma un ripensamento per riandare al passato, nei suoi aspetti esemplari, quale origine delle componenti su cui sì forma il presente. Vedere cioè il «paesaggio» come storia, come significato che sottende un significante che è la cultura del territorio, la quale cultura è causa ed effetto dei modo di percepire: una interazione che può consentire di riconoscere i motivi delle attuali diversità spaziali, attraverso l’accostamento sequenziale di «sezioni», e di indagare «le connessioni tra il tempo sociale e il tempo geografico».

Si ha l’impressione, valutando le tematiche presenti in quegli atti dopo l’Unità, dalla consapevolezza di una posizione alla proiezione verso lo spazio continentale, dal tentativo di «disisolare» le aree interne alla convinzione di una «diversità» rispetto al resto della Sicilia (e questo soltanto per fare riferimento ad alcune di esse, forse le più evidenti) e confrontandole con i dibattiti dei nostri anni, di trovarci di fronte ad una sorta di «replicabilità dei significanti». Discontinuità o continuità nel modo di cogliere la città in relazione al suo intorno?

Riconosce Gambi che nei «ritratti» di Messina, nelle loro delineazioni, storicamente motivate, si coglie uno «spazio accennato nel suo pieno valore economico da un elemento, cioè il mare». A Genova e a Venezia, come ad Ancona e a Messina il punto rimane di regola sul mare (base di ogni loro fortuna) in perpendicolare sul porto. L’assunto di poter riproporre l'individuazione di un, non del tutto interrotto, modo di percepire questo paesaggio, valorizzandone i vantaggi della posizione, può essere stimolante per quanti si pongano il problema del «senso» di questa città. E nella ricerca del rapporto tra le varie trasformazioni territoriali e le diverse utilizzazioni del sito, in un’analisi strutturale, dinamica, cogliendo i nessi tra tempi della natura e tempi della storia, può risalirsi ad epoche assai lontane.

Di Messina si vantavano i mercati, l’accessibilità al porto e la «speditezza che la positura consentiva nel carico e nello scarico»; e la città era considerata quasi «claves insulae», proprio per la sua «positura» sullo Stretto. La percezione della significanza dei sito è una costante; e le motivazioni sottese al disegno della città furono nel tempo esplicative di una sicura interazione tra ambiente-architettura-funzioni urbane. Anche nei vecchi atti della Provincia, per tornare alle carte che hanno dato l’avvio al nostro discorso, ritroviamo riferimenti alla «positura» di «una capitale così avventuratamente situata tra il Mediterraneo e l’Adriatico, sulla strada che forzosamente deve seguire la corrente commerciale che da Levante va a Ponente, nonchè sul prossimo cammino delle Indie, or che sarà aperta la grande comunicazione di Suez».

Forse è opportuno chiedersi, per riconsiderare la attuale dimensione urbana, se le catastrofi con il loro
carattere violento e improvviso abbiano rappresentato rotture dì continuità, oppure se, nonostante tutto, lascino emergere ancora una sorta di conservazione della continuità sul piano degli «avvenimenti lunghi». In quel piano dove «di là dagli incidenti, dalle peripezie che ne hanno colorato e segnato il destino, nella loro longevità, o meglio nelle loro permanenze, nelle loro strutture, nei loro schemi essenziali», può ricomporsi una cultura, una «civiltà», che non è «nè una data economia, nè una data società, ma quello che, attraverso una serie di economie, attraverso una serie di società, continua la propria esistenza, lasciandosi appena flettere a poco a poco».

Anche sullo Stretto gli «schemi essenziali hanno finito, in qualche modo, col ricomporsi ed hanno rappresentato un laboratorio dal vero per valutare sperimentalmente le capacità di recupero di vasti sistemi sociali». Si è sostenuto che, al momento dei verificarsi delle situazioni di emergenza, la popolazione «prenderebbe con inconsueta chiarezza, coscienza della natura consensuale della organizzazione sociale» e che la gente sarebbe addirittura in grado di cogliere «con una chiarezza in precedenza non possibile» una serie di valori comuni, da mantenere con una efficace azione collettiva. Da questo nuovo consenso sui valori, si aggiunge, ne nascerebbe una rimotivazione dei soggetti all’interno dei sistema: come ulteriore conseguenza si potrebbe avere un effetto amplificato di rimbalzo «per il quale la società verrebbe spinta oltre dai preesistenti livelli di integrazione e di potenzialità di crescita».

A Messina, dopo il 1908, invece è come se la catastrofe terremoto avesse messo in crisi ancora una volta la convinzione che comunque il tempo «dovesse» lavorare per la città: in evidenza sembra posto soprattutto «lo scacco», la pura perdita, le possibilità naufragate per il ritorno indietro. L’«effetto di rimbalzo» capace di spingere più in avanti la società tarderà a riapparire e la dinamica vitale del dopo terremoto sarà soprattutto caratterizzata dai temi, incombenti e totalmente assorbenti, della ricostruzione: come se la discontinuità, la rottura della catastrofe avesse determinato un affievolirsi del modo di percepire la valenza dei luoghi, avesse cioè, in una dialettica di mutamento, imposto ritmi diversi alle componenti della struttura.

Le dinamiche interne al sistema, i nuovi processi, finiscono col ricondurci a strutture segnate da gradi di insufficiente coerenza con l’insieme dei problemi prodotti, un tempo, dalle relazioni degli individui con l’ambiente e dagli equilibri che ne conseguivano. La forma urbana ha finito coll'esprimere modi di produzione, ma anche sistemi di relazione, livelli di coscienza, di immaginazione, di rappresentazione: 1’«esteriorità» del fatto urbano con i suoi connotati materiali disegnati dalla pietra, dal cemento, dal verde è sempre materia di un segno, di un sistema di segni, un linguaggio. A Messina, come sovente altrove, dopo una «flise di tensione e drammatizzazione» (e di deificazione della categoria emergenza con i suoi «ritmi» sugli assetti di società), l'emergenza si esaurisce senza che siano stati raggiunti gli obiettivi che sembravano «irrinunciabili» e, col tempo, viene vissuta in modo quasi «gratificante» con connotazioni di solidarietà all'interno della società civile e di delegittimazione dei poteri esistenti (una sorta di input per la rinegoziazione dei contratto sociale).

Funzionale all’emergenza, che si consolida come tale, è la successiva fase di rimozione della memoria del disastro. Il processo della storia continua a muoversi, comunque, in una intelaiatura poggiata sulle coordinate della società, dei territorio e del tempo. Un cambiamento continuo-discontinuo, del resto, è sempre presente all'interno di un processo territoriale. E quindi anche gli elementi di discontinuità, conseguenti ad un evento straordinario, si ricompongono, secondo proprie logiche temporali, in un equilibrio diversamente combinato. All'interno di questo paesaggio urbano si appalesano vitalità, magari secondo linee, talvolta un groviglio di linee, che si incrociano, si sovrappongono, che tornano indietro, ma che non stravolgeranno la natura del procedere.

È stato detto che nessuna città viva si è mai definitivamente cristallizzata anche se «edificata con intenzioni di perennità», mai è stata priva di scivolamento nelle sue parti e di «ristrutturazioni», che però hanno generalmente obbedito «alle leggi della permanenza» dell’impianto, mantenendosi, appunto, aderenti alle caratteristiche dell’impianto iniziale. Questi «scivolamenti», queste «ristrutturazioni», sono state sospinte dalla sempre più accentuata «mobilità sociale», dalle sempre più ricche combinazioni organizzanti parti con parti, dalle tecnologie, dal moltiplicarsi dei tipi di attività, da nuovi modi di produzione, dall’innovarsi e riorganizzarsi dei sistemi di comunicazione e di trasporto fino a «inaugurare una integrale mobilità della forma territoriale».

A Messina gli eventi calamitosi, le ricostruzioni determineranno problematiche diverse, potranno anche proporre soluzioni differenti sul piano formale, ma l’insediamento umano residuo, il sito in cui si sviluppa, la sua posizione nel rapporto con la regione circostante, la morfologia urbana finiscono per appartenere alla dialettica tra condizionamenti preesistenti e scelte successive, tra componenti economico-sociali ed elementi formali: una linea, quindi, di sostanziale «unità», anche se spostata nel tempo, nella dinamica della crescita urbana. L’evoluzione delle strutture e delle forme urbane appare soprattutto permeata da una logica interna, la logica di un modo di essere, di collocarsi di una società, di una cultura nello spazio e nel tempo, nelle interazioni cioè che i più vari fenomeni sociali ed ambientali proiettano spazialmente. Uno spazio cui sono stati conferiti, in questo incessante fluire del tempo, sistemi di valori comuni.

Ed è in un nuovo rapporto dialettico tra uomo, società e struttura, che può talvolta esplicarsi in frammentarie e contraddittorie dinamiche, che si situerà, alla fine, una ricerca di senso nel tentativo di
«afferrare una matassa che non finisce più di svolgersi». Anche per la Val di Noto, è stato scritto che le ricostruzioni «sono essenzialmente l’opera di una società locale preesistente. Lo spazio urbano diviene il mezzo per dare la parola e qualche volta per ridistribuire il potere ai diversi elementi o gruppi che ne costituiscono la struttura sociale [...] e quest’ultima interviene nel processo di ricostruzione con tutto il complesso delle sue caratteristiche».


Dalla conferma del sito fino alla successiva formazione del Piano, anche a Messina, i gruppi sociali si
manifestano in quanto tali. L’analisi concreta della città edificata poi indicherà tutte le fasi dei processo di generazione dello spazio. Questa ricerca sui temi del progetto urbano di Messina è andata via via maturando con l'apporto, fatto di confronti e di comuni approfondimenti, di tanti colleghi, di studiosi, di amici, di ex studenti dei corsi di Geografia della Facoltà di Architettura di Reggio Calabria e della Facoltà di Scienze Politiche di Messina. 

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