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MEDITERRANEO E MIGRANTI: UN EVENTO EPOCALE!

Non è solo fase di transizione demografica, è passaggio epocale. Già al Cairo, nel 94, persino nei tazebao che coloravano di sangue le ponderose analisi degli studiosi, e quindi le proiezioni delle Nazioni Unite, ci spiegavano che sarebbe cambiata la storia del mondo. 


Con il ritorno delle migrazioni bibliche per sopravvivere, per liberarsi, per la fine delle stragi di innocenti. Da allora i numeri - per l’ampliarsi dell’area della disperazione, non più solo l’affaccio africano sul Mediterraneo, ma il Golfo, l’Oriente prossimo, e quello meno prossimo, almeno fino al Pakistan, - si sono dilatati. 

Nelle rive mediterranee europee, pur con immissione, non sempre civilmente risolta, di immigrati, per via degli indici di natalità esprimerà nei prossimi decenni una popolazione intorno ai 150 milioni di abitanti, la popolazione a sud, sud-est, che premerà sul mare comune, supererà di molto il miliardo. Il rapporto sarà, ed è verosimile previsione, di circa 1 a 10. E allora i 60 mila che sono arrivati in un anno, le centinaia e centinaia di morti che hanno colorato di rosso il mare che per Omero aveva il colore del vino non sono solo piccolissima cosa. L’olocausto comunque è annunciato.

Certo, è un dramma non risolvibile con i nostri mezzi. E non siamo stati capaci di ottenere che le attenzioni europee, che cominciavano ad essere in qualche modo presenti nel libro bianco di Delors, poi a Barcellona, non finissero nel cestino dei rifiuti. Ma allora le antropologie di governo si collocavano al di sotto di una civile sensibilità, esprimevano post-umanità tribali o su- intellettualità da pensiero unico.


Si arrivò persino a ‘pagare’ Gheddafi, e altri sanguinari autocrati, perché costruisse lager e luoghi di annichilimento per bloccare esodi e transiti. E’ chiaro che il tema deve essere essenzialmente riportato a diversi paradigmi etici, anche i nostri, ma forzando soprattutto politicamente l’indifferenza e/o l’irresponsabilità europea. 

I nostri? Certo, soprattutto nelle modalità di accoglienza. Non possiamo restare spettatori preoccupati e fortemente infastiditi. Non è possibile rifiutare la storicità di una condizione geografica. Non siamo un non luogo, siamo stati America dell’antichità, Magna Grecia, fruitori della cultura e delle pratiche produttive arabe. 

Abbiamo anche sofferto come gli immigrati di adesso il dolore della perdita di una Patria: i nostri che andarono via nelle Americhe si  calcolano in 1 milione e 400 mila, dall’ ‘870 al ‘915. E anche i nostri andavano lungo il cammino della speranza. Ecco, noi siamo la porta d’ingresso in questo drammatico, terribile, necessario cammino. E allora? 

Papa Francesco un anno fa a Lampedusa parlò di un cammino che era diventato una via di morte e, rifacendosi alle scritture della liturgia di quel giorno di luglio, pose a tutti, vescovi, presbiteri, credenti, laici e uomini di buona volontà le domande: "Adamo, dove sei… - poi a Caino - dov’è tuo fratello?". Se come Adamo non sappiamo dove siamo, se come Caino non abbiamo il senso degli altri, se son siamo capaci di custodirli, ecco che viviamo le tragedie, le voci di un sangue che deve trovare risposta.  

Nessuno potrà dire: "Poverini… certo, ma non è compito mio...". Soprattutto società e politica. La regione, anche così com’è, senza partiti, dal doroteismo, anche per la sinistra, antropologico, che crede più nella subalternità che nella cittadinanza. Se ne dovrà occupare l’Europa, certo, ma noi siamo il primo approdo. Siamo autonomia speciale proprio perché eravamo terra di frontiera. E allora nella civile accoglienza giustificheremo il senso di tanto potere. Ritroveranno senso il governo, con la sua maggioranza purtroppo titubante, e l’assemblea dove presidente e deputati dovranno spiegare a se stessi, poi a tutti, se abitano la Sicilia e come e perché la abitano. 

E Governo e Assemblea sapranno spiegarlo anche ai sindaci, che non sanno più nemmeno dove mettere le bare? Sapranno ridare voce ai vivi? Collaboreranno perché vengano sconfitti i trafficanti di uomini? Riusciranno a pianificare con una Chiesa, talvolta in ritardo, un modo per una disponibilità significativa delle sue moltissime possibilità di accoglienza. E il Governo riuscirà a spiegare alle Prefetture che il dolore, la disperazione, la morte di tanti uomini non sono solo “una pratica”?

Quando a Pasqua l’arcivescovo di Messina, Mons. Calogero La Piana diceva "Non facciamoci rubare la speranza", forse parlava con la bocca di questi ultimi della Terra, come fosse una loro invocazione….

Ed è a loro, appunto, che  non dobbiamo rubare anche la speranza!




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